DISTURBI DELLA REGOLAZIONE AFFETTIVA – Gestione e riconoscimento degli aspetti clinici in età evolutiva

 

L’infanzia cattura la nostra attenzione. Non siamo soltanto emotivamente attratti dai bambini, ma anche colpiti dal loro evidente bisogno di cure e di amore e di quanto l’ambiente di accudimento sia indispensabile per la loro esistenza psicologica. Non si potrebbe sopravvivere senza le prime relazioni di accudimento e non meno essenziali sono le relazioni successive.  Il bambino e l’ambiente di accudimento sono i costituenti di un sistema di regolazione aperto e interattivo, in cui ogni componente partecipa agli scambi che influenzano e regolano reciprocamente il comportamento dell’altro.

Un principio fondamentale per la salute mentale è che il lattante e il bambino piccolo siano allevati in un’atmosfera calda e dovranno essere uniti alla propria madre (o alla persona che se ne prende cura) da un legame affettivo intimo e costante, fonte per entrambi di soddisfazione e gioia. La complessità, la ricchezza e i benefici di questi legami affettivi intrecciati tra madre e bambino nei primi anni dell’infanzia, ed il cui aspetto viene modificato dai rapporti con il padre, con i fratelli e le sorelle, presiedono allo sviluppo del carattere e della salute mentale. Il bambino ha bisogno di sentirsi oggetto di piacere e d’orgoglio per la propria madre e questa ha bisogno di sentire arricchita la propria personalità attraverso quella del bambino; entrambi hanno bisogno di sentirsi intimamente identificati l’uno all’altro.

John Bowlby afferma che:

La teoria dell’attaccamento considera la propensione a stringere relazioni emotive come una componente di base della natura umana, già presente in forma germinale nel neonato e che permane durante la vita adulta e la vecchiaia.”

Il legame del bambino col proprio caregiver, che nella nostra cultura generalmente è funzione della madre, è contraddistinto da un rapporto di attaccamento, in quanto la madre non è solo la figura che provvede alle sue necessità fisiche, ma svolge anche un’importante funzione di protezione e di sostegno del sentimento di benessere e di sicurezza del piccolo.

Si definisce una situazione di carenza di cure materne quando il bambino non gode di questo legame affettivo, sia quando la sua famiglia è incapace di circondarlo delle cure affettuose che sono necessarie all’infante, sia quando, per qualsiasi ragione, egli si trovi separato dalla madre. Le conseguenze di questa carenza saranno relativamente benigne se il bambino sarà accudito da qualcuno a cui egli è già abituato ed in cui ha fiducia, rischiano di essere più gravi se la persona che se ne occupa è un’estranea, o non provi simpatia per il piccolo.

Le ripercussioni della privazione di cure materne variano in funzione dell’intensità di quest’ultima. Se parziale essa può provocare una forte ansietà, un bisogno eccessivo d’affetto e potenti desideri di vendetta, fonte a loro volta di sentimenti di colpa e di stati depressivi. Queste emozioni e questi impulsi sono troppo violenti per essere controllati dal bambino che manca di maturità sia fisiologica che psicologica per arginarle. Esse provocano alterazioni della struttura psichica che si traducono con reazioni varie ad effetto spesso cumulativo o ripetitivo, suscettibili di produrre sintomi nevrotici ed instabilità del carattere, laddove tali carenze possono compromettere definitivamente la facoltà di stabilire contatti affettivi.

I fattori che favoriscono questo processo e che predispongono il bambino allo sviluppo di un’eziologia psichiatrica sono:

La negligenza

Devono essere tenute distinte due forme di negligenza, quella materiale e quella affettiva, che sebbene possano coesistere è assolutamente indispensabile differenziarle, in quanto le misure terapeutiche sono completamente diverse l’una dall’altra. In linea generale quella materiale è il più spesso dovuta a motivi economici, a malattia della madre o a ignoranza, la negligenza affettiva è, invece, il risultato dell’instabilità emotiva o di una psicopatia dei genitori e spesso è stato osservato che la carenza e l’infelicità dei genitori stessi hanno potuto determinare i loro problemi attuali. Il genitore psicopatico ed instabile che trascura i propri figli non è altri che il bambino psicopatico, anaffettivo, che rappresenta il prodotto tipico della carenza di cure materne, che è diventato adulto. Ritroviamo ancora una volta leggerezza, irresponsabilità, incapacità di adottare un’attitudine astratta o di imparare, incapacità di reagire positivamente all’aiuto, rapporti superficiali e promiscuità sessuale. Questo ciclo sociale, il bambino trascurato e psicopatico che diventa col passare del tempo il genitore che trascura e che è a sua volta psicopatico, è stato finora considerato con troppo poca attenzione.

I maltrattamenti fisici

L’osservazione clinica mostra che questi bambini sono dei gravi disadattati e che il loro disadattamento dipende quasi sempre da una grave carenza o da un grave rifiuto da parte dei genitori. Lo studio dei genitori colpevoli di maltrattare i propri figli mette in luce le turbe di personalità che sono conseguenti ad una storia di carenza o di rifiuto nell’infanzia, sia anche in relazione ad uno schizoidismo del genitore.

Malattia prolungata di uno dei genitori

A parte lo stato di malattia di uno dei genitori, nell’eziologia della carenza va considerata la malattia di uno dei genitori, in quanto a causa del prolungato ricovero della madre in ospedale vanno adottate per il bambino particolari misure di assistenza.

Deficienza d’autorità da parte dei genitori

Molti di questi bambini sono trascurati, disadattati o le due cose insieme ed in ogni modo il disadattamento e la deficienza d’autorità da parte dei genitori non sono che le due facce di una medesima medaglia.

Matrimonio infelice, abbandono, separazione e divorzio

Pur non esistendo studi approfonditi in questo senso, la correlazione più caratteristica tra un fattore familiare legato all’infanzia e l’accordo o il disaccordo coniugale risulta essere quella della felicità coniugale dei genitori della coppia e l’attaccamento del marito e della moglie ai propri genitori. I rapporti affettivi stabiliti nell’infanzia condizionano la vita amorosa dell’adulto e rappresentano i fattori dinamici che determineranno l’espressione dell’affettività nell’età adulta.

Illegittimità e carenza di cure

Alcuni studi rilevano che la ragazza che ha un figlio illegittimo inaccettabile alla società proviene spesso da un ambiente familiare poco soddisfacente, e che si è sviluppata in lei una nevrosi di cui il bambino illegittimo non è che un sintomo. I rapporti della ragazza col genitore (spesso quello dominatore) rappresentano un vero campo di battaglia, dove il bambino è parte integrante della battaglia in corso. Frequentemente tali ragazze sono cresciute in ambienti familiari dissociati, dove si riscontravano gravi difficoltà nello stabilire rapporti con gli altri, incapaci di formare legami affettivi stretti e intimi. Molte di queste ragazze infelici erano spinte da bisogni inconsci e avevano cercato una soluzione al loro dilemma affettivo generando un figlio fuori del matrimonio. Non vi è da stupirsi se non troviamo fra di esse nessuna che abbia veramente amato il padre del bambino o sia stata veramente felice con lui. L’osservazione di queste ragazze rivela un forte desiderio inconscio di rimanere incinta, spinte, qualche volta, dal bisogno di un oggetto d’amore di cui erano sempre state private, altre volte, dal desiderio d’utilizzare la vergogna di un figlio illegittimo come un’arma contro i genitori dominatori. Un buon numero di esse insisteva rigidamente e irrazionalmente affinché la propria madre, anche se contro voglia, si occupasse del bambino illegittimo. Il bisogno d’usare il bambino come un’arma contro i genitori era parallelo a quello d’usarlo contro se stesse, in una tendenza all’autopunizione. In alcuni casi le ragazze possono essere delle psicopatiche. I padri non sposati sono spesso personalità instabili e promettono il matrimonio senza alcun senso di responsabilità. Sono più dediti alla promiscuità sessuale di quanto lo siano le madri nubili, e non è raro che essi compromettano parecchie ragazze nello stesso tempo. Lo studio del carattere instabile ed immaturo di questi soggetti, il cui comportamento sociale s’accompagna a tante miserie, ci conduce, come nel caso di numerose madri nubili, alla loro infanzia e ai loro rapporti con i genitori. Non è raro osservare che essi fossero stati collocati nella loro infanzia in internati, presso famiglie in affidamento, in istituti o presso dei parenti. Un gran numero di essi ha subito ripetuti collocamenti. Alcuni non avevano mai ricevuto, dalla loro nascita o dalle loro prime settimane di vita, nessuna cura materna o paterna. Un gran numero era nato fuori dal matrimonio. I conflitti più gravi sorgevano quando la vita familiare era stata instabile, ed il bambino era passato da varie mani. Spesso chi si occupa delle cure di questi bambini si è lasciato influenzare dalle proprie tendenze punitive nei confronti di queste madri “perdute”, invece di considerare oggettivamente le soluzioni migliori sia per la madre che per il bambino.

Un comportamento di attaccamento da parte del bambino si attiva soprattutto quando il piccolo prova dolore, è affaticato, c’è qualche cosa che lo impaurisce e anche dal fatto che la madre sia o appaia inaccessibile. Il più delle volte la semplice vista o la voce della madre riescono a rassicurare il bambino, altre volte può essere necessario che il bambino tocchi o si aggrappi alla madre, mentre quando egli è invece impaurito e angosciato solo un prolungato vezzeggiamento farà cessare lo stato di marasma del bambino. Se la relazione è buona c’è gioia e un senso di sicurezza, se invece è minacciata c’è gelosia, angoscia e rabbia, se viene interrotta c’è dolore e angoscia. Ogni genitore ha una rappresentazione che caratterizza il suo essere genitore e tale schema si modifica in funzione della crescita del bambino e si organizza attraverso le esperienze che influenzano le modalità di sviluppo del piccolo. Dal momento della nascita l’attenzione si riversa sul bambino. Durante i primissimi giorni la madre trascorre molte ore solamente guardando la sua creatura, cullandola e facendo in modo di conoscerla, mentre il neonato possiede la potenzialità di entrare in una forma elementare di interazione con essa. Quando una madre e il suo bambino sono di fronte, faccia a faccia, si verificano fasi di vivace interazione sociale alternate a fasi di disimpegno. Essa comincia con dei saluti reciproci, composti da uno scambio animato che comprende espressioni facciali e vocalizzi, mentre il piccolo si orienta verso la madre con movimenti agitati delle braccia e delle gambe. Una madre sensibile regola il proprio comportamento così da accordarlo con quello del figlio, modificando il proprio comportamento così da adattarlo a quello di lui. In una relazione che si sviluppa felicemente ciascuno dei partner si conforma all’altro. La sintonizzazione dei genitori con i segnali emotivi del loro bambino e la loro capacità di contenere e trasformare le emozioni primitive facilitano lo stabilirsi di un sistema interpersonale di regolazione affettiva che si trasforma gradualmente in una capacità di autoregolazione affettiva man mano che il bambino impara a identificare, distinguere e denominare le proprie emozioni e ad essere lui stesso il portatore e il contenitore dei propri sentimenti.

L’osservazione delle interazioni del bambino con il proprio caregiver ha permesso di distinguere tra gli schemi comportamentali di sicuro attaccamento alla madre da quelli di insicuro attaccamento ad essa, che mostrano di essere considerevolmente stabili durante i primissimi anni di vita e sono in grado di predire come un bambino si comporterà nei confronti di una persona estranea o affronterà un nuovo compito. Quando il bambino sviluppa un attaccamento sicuro egli ha fiducia nella disponibilità, nella comprensione e nell’aiuto che il genitore gli darà in caso di bisogno, ed è in grafo di esplorare l’ambiente allontanandosi dalla propria figura di attaccamento in quanto è certo di ritrovarla quando sente il bisogno di rifornirsi da essa. Un secondo schema è quello dell’attaccamento di resistenza angosciosa in cui il bambino non ha la certezza che il genitore sia disponibile o pronto a rispondere o a dare aiuto quando lui ne sente il bisogno, e quando è allarmato, ansioso, stanco o sofferente egli esprime una spinta a rimanere attaccato alla madre in quanto rimane sempre incline all’angoscia di separazione, tende ad aggrapparsi a lei e l’esplorazione del mondo gli crea ansietà. Quando al bisogno di attaccamento d’un bambino si risponde di malavoglia e con riluttanza e lo si considera un fastidio, il bambino manifesterà un attaccamento ansioso, cioè diventerà apprensivo verso chi si occupa di lui temendo che questi possa scomparire o non esser d’aiuto nel momento del bisogno, sarà riluttante ad allontanarsi dal suo fianco, obbedirà malvolentieri e con apprensione e non si preoccuperà d’altro.

Se chi gli dovesse fornire le cure dovesse respingerlo attivamente, il bambino probabilmente svilupperà uno schema di comportamento in cui l’evitamento di quella persona compete con il desiderio di prossimità e di cure, mentre il comportamento di collera tenderà a diventare preminente. Esso costituisce il terzo schema di attaccamento, quello dell’evitamento angoscioso, il cui il bambino non possiede la fiducia che quando ricercherà delle cure gli si risponderà soccorrevolmente ma, al contrario, si aspetta di essere rifiutato seccamente. Tale bambino vivrà la propria vita emotiva senza l’amore e il sostegno degli altri, diventerà autosufficiente sul piano emotivo e probabilmente svilupperà un “falso Sé” come forma di adattamento patologico al proprio ambiente.

Dobbiamo a Donald W. Winnicott lo sviluppo del concetto di falso Sé. Esso si costituisce come autentico e la persona che osserva tende a prenderlo per la persona reale, come se quegli aspetti appartenessero ad essa, anche se esso traballa nei rapporti profondi e nelle situazioni in cui ci si aspetta una persona intera. Il “vero Sé” è nascosto in quanto l’individuo sente la necessità di mascherarlo di fronte alle minacce che esso venga deriso ed umiliato nel momento in cui emerge. Molto spesso si osserva la formazione di un falso Sé in persone che sono state deprivate nell’accudimento da un caregiver che non è stato capace di sintonizzarsi con i bisogni del bambino, li ha frustrati non accogliendoli e non svolgendo quella funzione di eco che una madre sufficientemente buona fa col proprio piccolo, mentre altre volte ha sovrapposto le proprie fantasie del figlio desiderato da non permettere al piccolo di mettere alla prova sé stesso. Il risultato è che il bambino non ha imparato a riconoscere i propri bisogni e li considera come illeciti e causa del distacco della madre da lui. Svilupperà in questo modo un “falso Sé” che rispecchia i bisogni della madre, si mostrerà compiacente verso le sue richieste ed il suo sistema di vita, negandosi di ascoltare e rendere vitali le sue stesse percezioni e sensazioni, assumendo come proprie quelle della figura di attaccamento e coartando i suoi bisogni.

Winnicott sostiene che:

“… la madre non sufficientemente buona non è capace di sostenere l’onnipotenza del figlio (inteso come lo stato narcisistico primario), e così fallisce ripetutamente nel rispondere al suo gesto; essa vi sostituisce invece il proprio gesto chiedendo al figlio di dare ad esso un senso tramite la propria condiscendenza. Questa condiscendenza è lo stadio primario precoce del falso Sé, e dipende dalla incapacità della madre a presentire i bisogni del figlio.

Solo il “vero Sé” può essere creativo e può sentirsi reale. Mentre il vero Sé si sente reale, l’esistenza di un falso Sé determina una sensazione di irrealtà o di futilità.

Secondo questo autore, la protesta nei confronti del fatto di essere costretto ad un’esistenza falsa può essere osservata fin nei primissimi stadi e si esprime in un’irrequietezza generale e in disturbi dell’alimentazione e di altre funzioni che possono però scomparire clinicamente, ma solo per riapparire in forma grave in uno stadio successivo.  Per Winnicott il disadattamento e tutti i derivati di questo tipo di disturbo consistono essenzialmente in un disadattamento originario dell’ambiente verso il bambino, mettendo l’accento soprattutto sul fallimento ambientale ed implica quindi che la patologia sia primariamente nell’ambiente e solo secondariamente nella reazione del bambino, poiché in simili contesti vengono attivate ed organizzate difese molto primitive a causa delle anomalie ambientali. Egli afferma che i processi maturativi dell’individuo (compreso tutto ciò che è ereditato) richiedono un ambiente favorevole, specie nei primissimi stadi. L’insuccesso dell’ambiente determina deficit evolutivi nella personalità dell’individuo e nell’instaurarsi del Sé.

Bowlby ritiene che la caratteristica più importante dell’essere genitori è di fornire una base sicura da cui un bambino (e poi anche l’adolescente) possa partire per affacciarsi nel mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato. Questo ruolo consiste nell’essere disponibili, pronti a rispondere quando chiamati in causa, per incoraggiare e dare assistenza, ma intervenendo attivamente solo quando è chiaramente necessario. Per fornire una base sicura al figlio che sta crescendo la madre deve avere comprensione e rispetto per il comportamento d’attaccamento del proprio bambino e trattare questo bisogno come degno di valore. Tuttavia queste relazioni reciprocamente soddisfacenti non si sviluppano in ogni famiglia. L’evidenza clinica porta a sostenere che i sentimenti e i comportamenti di una madre nei confronti del figlio sono profondamente influenzati anche dalle sue precedenti esperienze personali, specialmente quelle che ha avuto e che può ancora avere con i propri genitori. Le donne la cui infanzia è stata disturbata tendono a instaurare meno relazioni con i propri bambini di quanto non facciano le madri che hanno avuto un’infanzia più felice. Non solo, ma chi ha sperimentato esperienze sfavorevoli ha un’aumentata probabilità che ne subisca delle altre. Le persone cresciute in famiglie infelici sono più esposte al rischio di avere figli illegittimi, di diventare madri adolescenti, di fare matrimoni infelici e di divorziare, esponendosi a ulteriori esperienze conseguenti alle azioni compiute da lei medesima, azioni che nascono da quei disturbi della personalità che hanno origine dalle esperienze primitive. Una madre che a causa di vicende negative accadute nella propria infanzia cresce sviluppando un’angoscia di attaccamento, tenderà con più probabilità a cercare di essere accudita e di ricevere cure dai suoi stessi figli, in tal modo inducendo il figlio stesso a diventare angosciato, pieno di sensi di colpa e forse anche fobico. Una madre che da bambina è stata trascurata e ha subito frequenti e grave minacce di abbandono o di percosse è più incline di altre a maltrattare fisicamente il figlio. Ogni schema di attaccamento una volta sviluppato tende a persistere e ad autoperpetuarsi. Un bambino sicuro è più felice e più gratificante da curare e anche meno esigente di un bambino ansioso. Un bambino ansiosamente ambivalente è facilmente incline a piagnucolare e ad aggrapparsi, mentre un bambino con un evitamento ansioso mantiene le distanze ed è facilmente prepotente nei confronti degli altri bambini. La stabilità di uno schema, quando si manifesta, non può essere attribuita al temperamento innato del bambino, nondimeno se all’inizio lo schema si sviluppa sulla base dell’interazione con il caregiver principale, se il genitore tratta il figlio in un modo diverso, anche lo schema varierà di conseguenza. Più il bambino cresce più lo schema diventa una caratteristica stabile del bambino, il che significa che egli tende a imporlo anche nelle successive relazioni con i caregivers secondari. Studi longitudinali hanno potuto verificare che i bambini che mostravano un attaccamento sicuro verso la madre, all’asilo venivano descritti come collaboranti, graditi agli altri bambini, con capacità di ripresa e pieni di risorse. Quelli che mostravano uno schema di evitamento ansioso erano descritti come isolati sul piano emotivo, ostili o antisociali e, paradossalmente, alla ricerca eccessiva di attenzioni. Coloro che mostravano un attaccamento ansioso di resistenza erano anche loro alla ricerca ansiosa di attenzioni e descritti come tesi, impulsivi, facilmente frustrati, oppure passivi e bisognosi di aiuto. Così i bambini che mostrano un attaccamento sicuro sono quelli che trattano i propri genitori in modo rilassato e amichevole, che entrano in intimità con loro e che conversano con facilità. I bambini con un attaccamento di resistenza angosciosa mostrano un misto di insicurezza, comprese la tristezza e la paura, dove l’intimità si alterna con l’ostilità. I bambini del gruppo dell’evitamento angoscioso tendono a tenere il genitore a distanza, i riconoscimenti che danno sono formali e brevi, gli argomenti di conversazione sono frammentati, le frasi iniziate ma lasciate incomplete e facilmente abbandonano il dialogo.

Sulla base di queste considerazioni M. Ainsworth ha definito dei modelli di attaccamento che rappresentano degli schemi di classificazione delle relazioni madre-bambino, adattive e disadattive, basati sul comportamento del bambino rispetto alla madre.

___________________________________________________________________________________

Attaccamento sicuro

  1. La madre costituisce una base sicura per l’esplorazione
  2. Il piccolo separa con facilità da lei per esplorare i giocattoli
  3. Vi è condivisione affettiva durante il gioco
  4. Vi è un comportamento amichevole verso gli estranei in presenza della madre
  5. Il bambino viene facilmente rassicurato dalla madre quando è angosciato (tale rassicurazione favorisce il ritorno all’attività ludica)
  6. Il bambino cerca attivamente il contatto o l’interazione dopo la separazione
  7. Se è angosciato
  8. Cerca immediatamente il contatto e lo mantiene
  9. Il contatto è efficace nel porre termine all’angoscia
  10. Se non è angosciato
  11. Vi è un attivo comportamento di saluto (è felice di vedere la madre)
  12. Vi è una forte tendenza a dare inizio all’interazione

______________________________________________________________________________________

Attaccamento ansioso-resistente (insicuro-ambivalente)

  1. Esplorazione scarsa
  2. Difficoltà a separarsi per esplorare, può avere bisogno di contatto anche prima della separazione
  3. Diffida delle persone e delle situazioni nuove
  4. Difficoltà a calmarsi dopo la riunificazione
  5. Può esservi una mescolanza di ricerca del contatto e di resistenza al contatto (pugni, calci, contorcimenti)
  6. Può continuare semplicemente a piangere e ad agitarsi
  7. Può mostrare una passività sorprendente

______________________________________________________________________________________

Attaccamento ansioso-evitante (insicuro-evitante)

  1. Esplorazione indipendente
  2. Si separa facilmente per esplorare indipendentemente dalla madre
  3. Scarsa condivisione affettiva
  4. Comportamento amichevole verso l’estraneo, anche in assenza della madre (scarsa preferenza)
  5. Evitamento attivo dopo la riunificazione
  6. Si volta da un’altra parte, non la guarda, si allontana da lei, la ignora
  7. Può mescolare evitamento e vicinanza
  8. L’evitamento è più marcato dopo la seconda separazione
  9. Non vi è evitamento dell’estraneo

______________________________________________________________________________________

Si è potuto dimostrare che lo schema insicuro-evitante è associato con la mancanza di sensibilità materna ai segnali del bambino, specialmente con il rifiuto del comportamento di ricerca di prossimità, mentre lo schema insicuro-ambivalente è associato con l’imprevedibilità della risposta materna. Uno schema più grave definito disorganizzato-disorientato sembra essere legato a un comportamento in cui i genitori sono a volte spaventati dal bambino a causa dei propri traumi psichici irrisolti. Mentre un bambino dall’attaccamento sicuro è in grado di cercare e di ricevere conforto dai genitori quando è emotivamente a disagio, i bambini evitanti hanno imparato a mantenere le distanze e ad eliminare le manifestazioni esterne delle proprie emozioni; anche se gli affetti sono nascosti, lo stile di attaccamento evitante ruota intorno ad un asse di paura e rabbia che, alla fine dell’infanzia, può esprimersi con manifestazioni inappropriate di ostilità all’interno delle relazioni sociali. I bambini che invece hanno uno stile di attaccamento ambivalente manifestano una quantità crescente di disagio affettivo, ansia, tristezza e disperazione. Infine, i bambini dallo stile di attaccamento disorganizzato-disorientato mostrano una vasta gamma di comportamenti insoliti e inspiegabili, quali immobilizzarsi improvvisamente con un’espressione di stupore sul viso o avvicinarsi al genitore con la testa voltata da un’altra parte.

Questi particolari stili esercitano un’influenza anche nello sviluppo delle capacità cognitive-esperenziali dell’infante, per cui i bambini dall’attaccamento insicuro mostrano difficoltà più o meno grandi nell’integrare cognizioni e affetti, i bambini evitanti-insicuri tendono a non fare affidamento sulle informazioni affettive e imparano a contare sulla cognizione per organizzare il comportamento e controllare gli affetti, mentre i bambini insicuri-ambivalenti che sono incapaci di prevedere il risultato delle comunicazioni affettive, non fanno affidamento sulle informazioni su base cognitiva e funzionano sulla base di affetti non regolati. Anche se le esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza possono esercitare un qualche influsso, il modo in cui affetto, cognizione e comportamento di attaccamento sono integrati e rappresentati mentalmente negli anni della formazione determinano la loro particolare tendenza anche sull’organizzazione della personalità e sono responsabili di importanti differenze individuali nella vita adulta.

Gli schemi di attaccamento, il modello rappresentativo del Sé e quello della madre, così come delle altre figure di attaccamento, si stabiliscono nel corso dei primissimi anni di vita e si stabilizzano come influenti strutture cognitive. La forma che prendono si basa sull’esperienza di vita reale di un bambino nelle interazioni quotidiane con i genitori, ma viene altresì alterata e distorta dalle aspettative di desiderio del bambino e dalle necessità che egli ha di difendersi da certi contenuti che gli appaiono minacciosi, operando delle trasformazioni di essi in modo che possano essere congruenti alle rappresentazioni che il bambino ha di sé e delle sue figure di attaccamento. Una volta costruiti tali schemi tendono a persistere in quanto vengono internalizzati e arrivano ad operare in modo autonomo. Man mano che un bambino con un attaccamento sicuro cresce e i suoi genitori lo trattano in modo diverso, si verifica un graduale aggiornamento del modello, che tiene conto della mutata rappresentazione del Sé del bambino e di quella delle sue figure di accudimento. Nel caso, invece, del bambino con un attaccamento angoscioso questo graduale aggiornamento del modello è in certo grado impedito dall’esclusione difensiva di esperienze e di informazioni discrepanti, dove il dialogo è maggiormente indirizzato verso gli aspetti difensivi del suo rapporto con i caregivers principali, il dialogo di ricarica con essi è incostante e frammentato, con lo svantaggio che tali schemi si mantengono in una forma immutata anche quando l’individuo, più avanti nella vita, ha a che fare con persone che lo trattano in modo assolutamente diverso da come lo trattarono i suoi genitori quando era bambino.

Nel corso dell’infanzia le manifestazioni comportamentali ed espressive degli affetti rappresentano il solo linguaggio del bambino, il suo modo di comunicare i propri bisogni, desideri e soddisfazioni al caregiver. Essi si sviluppano da uno stato indifferenziato, dove si manifestano in forma somatica come soddisfazione e disagio, per poi evolvere differenziandosi in una gamma di emozioni specifiche. Con lo sviluppo del linguaggio e la graduale costruzione di un sistema di rappresentazioni simboliche avviene una progressiva desomatizzazione e le emozioni potranno utilizzare nuovi canali per la loro espressione. Lo sviluppo degli affetti e di quelle capacità cognitive che servono a regolarli è strettamente connesso alla relazione del neonato e del bambino con i genitori. Attraverso la sua sintonizzazione con le espressioni comportamentali delle emozioni del bambino il caregiver principale è in grado di rispondere con delle cure e delle espressioni emotive appropriate, facciali o di altro genere, che contribuiscono a loro volta a organizzare e a regolare la vita emotiva del bambino.

Per D. Stern

E’ proprio la condivisione delle emozioni con il bambino a indicare che un certo stato emotivo è stato compreso. La condivisione o “rispecchiamento” di emozioni in particolare positive e l’esperienza di sicurezza del primo ambiente familiare hanno un’influenza importante sullo sviluppo affettivo del bambino e sulla nascita delle sue rappresentazioni del Sé e dell’oggetto.”

Un normale sviluppo affettivo non può avere luogo quando i genitori sono incapaci di cogliere gli indizi affettivi del bambino e non riescono ad assumere il ruolo di regolatori esterni degli stati emotivi del bambino stesso. Nel secondo anno di vita, con l’emergere della simbolizzazione e del linguaggio, il livello di consapevolezza emotiva soggettiva aumenta gradualmente, man mano che i genitori gli insegnano le parole e i significati che corrispondono alle sue espressioni emotive somatiche e ad altre esperienze corporee. L’acquisizione del linguaggio ha un impatto fondamentale sulla nascente capacità del bambino di regolare gli affetti, al livello intrapersonale e nelle relazioni con gli altri. Per mezzo del linguaggio i bambini possono comunicare agli altri i propri sentimenti, ottenere un feedback sull’appropriatezza delle proprie emozioni e imparare come gestirle. La verbalizzazione degli affetti conduce inoltre a nuove esperienze, e ad una crescita della consapevolezza di stati emotivi più complessi e differenziati. Ciò può verificarsi solamente se il bambino si trova in un ambiente familiare in cui i sentimenti trovano un’espressione verbale e sono legittimati. La capacità di rappresentare le esperienze soggettive, oltre che a sviluppare una tolleranza affettiva consente al bambino di imparare ad utilizzare i sentimenti come segnali per il proprio comportamento. Gli studi sugli stili di attaccamento nell’infanzia hanno confermato che la sensibilità e la reattività del caregiver principale agli stati emotivi del bambino determina il modo in cui il bambino impara a regolare gli affetti disturbanti e ad entrare in relazione con gli altri.

La prima infanzia può essere considerata il periodo della vita in cui la relazione ha un significato psicologico preponderante poiché l’ambiente di vita del bambino determina i passaggi evolutivi della sua crescita. Quasi tutti i genitori si sono trovati a dover affrontare episodi stressanti nel rapporto col bambino, problemi connessi all’alimentazione, al sonno e alla disciplina, nonché scoppi d’ira, tristezza e apatia, solo per citarne alcuni. Verso il bambino sono purtroppo ampiamente diffusi anche problemi comportamentali più gravi. Da un lato i problemi i sono quelli relativi alle sindromi di maltrattamento, ed all’altro quelli collegabili a un’ampia varietà di altre sindromi, caratterizzate dallo stress, da un comportamento disadattivo e da disarmonie evolutive.

Un principio fondamentale all’approccio evolutivo della psicopatologia è che i comportamenti, le sindromi e gli stati di adattamento si modificano nel corso del tempo, specie offrendo al bambino un ambiente supportivo in grado di correggere le distorsioni ambientali, quando ci sono state, intervenendo sui caregivers principali se il loro atteggiamento determina il maladattamento del bambino, o sul bambino medesimo elaborando le sue interiorizzazioni, se queste rappresentano la fonte dei suoi conflitti. I sintomi presi in maniera isolata hanno scarso significato, se non per fatto di costituire una perturbazione del comportamento normale e come tali espressioni di un disagio del piccolo. Se essi si estendono per lunghi periodi di tempo, essi rappresentano dei disturbi e incidono sulla crescita del bambino ostacolandone il processo. Una turba, invece, è una variazione normale delle relazioni che si ha quando il bambino deve affrontare dei compiti evolutivi o deve far fronte ad un o stato di malattia, che implica l’emergere di uno stato di tensione connessa alla necessità di sostenere e superare un momento nella sua crescita oppure un suo ristagno. Il senso di sicurezza del genitore nei confronti della fragilità fisica del bambino influenzerà molti aspetti dell’adattamento sociale ed emotivo del piccolo. La frustrazione, l’ipercoinvolgimento e le emozioni negative associate a ciascuna di queste tappe evolutive riflettono turbe comportamentali normali, che scompaiono quando il bambino ha raggiunto la piena capacità e padronanza associata a quello stadio del suo percorso o quando la malattia viene superata.

Perché si possa affermare di trovarci di fronte ad un problema evolutivo dobbiamo dare risposta a quattro interrogativi:

  • Quali funzioni adattative svolgono per il bambino le prime relazioni?
  • Quali sono gli effetti delle loro variazioni?
  • Che rapporto esiste fra la qualità delle prime relazioni e la qualità di quelle successive?
  • In che misura le caratteristiche individuali del bambino influenzano la qualità della relazione?

 

Per rispondere all’interrogativo, più sopra esposto, della continuità qualitativa delle prime relazioni con quelle successive, man mano che la relazione madre-bambino si sviluppa il bambino acquisisce un repertorio sempre più ampio di ricordi interiorizzati e di astrazioni di ricordi e modelli, che costituisce una fonte di stabilità strutturata per la relazione stessa, per cui se le relazioni vengono assorbite o interiorizzate durante lo sviluppo, esse dopo sono avviate e sostenute da strutture interne. In questa prospettiva non soltanto la coerenza, la stabilità e la sostanza della relazione sono rappresentate da queste strutture interiorizzate, ma la costanza e la continuità della relazione stessa possono risiedere ed essere conservate nel tempo da tali strutture.

La caratteristica peculiare dell’esperienza infantile non riguarda tanto lo stato di adattamento dell’individuo, quanto piuttosto sua relazione di accudimento. Winnicott ha rappresentato questo paradosso affermando che “il bambino non esiste” intendendo che non si può considerare l’infante a prescindere dalle figure di accudimento. Un infante non può sopravvivere e svilupparsi senza l’intimità, il coinvolgimento e le cure costanti di una figura parentale. Un accudimento adeguato presuppone il soddisfacimento non solo dei bisogni fisici, ma anche di quelli emotivi e l’infante può essere in grado di seguire uno sviluppo normale solamente se la persona che si prende cura di lui risponde in modo adeguato. L’attaccamento si riferisce allo specifico legame di affiliazione che unisce il piccolo a chi se ne prende cura e la cui quotidiana esperienza porta il bambino a creare un modello interno della figura di attaccamento, la separazione dalla quale è fonte di dolore e la perdita può avere effetti devastanti. La disponibilità emotiva della persona che si prende cura dell’infante (disponibilità che include la sensibilità a capire quali sono i suoi bisogni e a soddisfarli) è, come dicevamo, associata all’esito di un attaccamento sicuro, che si osserva non soltanto nella rispondenza affettuosa che il bambino riserva alla figura di accudimento dopo una breve separazione, ma anche nella capacità del piccolo di esplorare un nuovo ambiente in presenza della figura di accudimento, che rappresenta l’effetto “base sicura” descritto dalla Ainsworth, definito anche come comportamento di attaccamento-esplorazione che pone le basi della competenza sociale del bambino nelle epoche successive. Il piccolo viene al mondo con una predisposizione a partecipare all’interazione sociale, evidente osservando le capacità del bambino a partecipare alla relazione di accudimento con sufficiente competenza, come si vede nell’inclinazione che mostra nel partecipare al contatto oculare, a essere tranquillo quando viene preso in braccio, toccato e cullato, e a mostrare attenzione allo stimolo costituito dal volto e dalla voce umana, capacità che comunque sono insufficienti per vivere da solo, che da sole non bastano a garantire la sopravvivenza autonoma e che devono essere integrate dalla madre attraverso le sue cure. Anche il genitore è predisposto all’interazione sociale nella relazione di accudimento, cerca il contatto oculare, esagera le risposte di saluto con opportune smancerie, imita le espressioni facciali e vocali del neonato o crea il “linguaggio infantile” con cui si rivolge al piccolo.

Può venire utilizzata la sottoindicata classificazione dei problemi relazionali:

Turba relazionale

  • Alterazioni passeggere dell’ambiente, comprese malattie fisiche di minore entità
  • Sostegno familiare e sociale soddisfacente
  • Breve durata (in genere non superiore a un mese)

 

Perturbazione relazionale

  • Modello di regolazione dell’interazione inappropriato o insensibile
  • Modelli d’interazione non rigidamente fissati
  • Regolazione disfunzionale limitata a un campo d’interazione
  • Media durata (in genere da uno a tre mesi)

 

 

Disturbo relazionale

 

  • Modello(i) di regolazione dell’interazione inappropriato o insensibile
  • I modelli interattivi sono rigidi e difficili da modificare
  • I compiti evolutivi di uno o di entrambi i partner non sono stati portati a termine
  • Vi è maggior probabilità che la regolazione disfunzionale si espanda in più contesti d’interazione e in più campi funzionali
  • Lunga durata (in genere tre mesi o più)

      ___________________________________________________________________________________

 

 

Le espressioni emozionali del bambino sono usate come guida per le pratiche dell’accudimento; quando egli piange la madre interviene per cercare di rimuovere la fonte del malessere o per consolarlo, lo vede sorridere o sente che egli emette dei vocalizzi e non può fare a meno di partecipare giocosamente. Anche il piccolo scruta le espressioni emozionali della madre, come le espressioni di felicità e di interesse o all’opposto le espressioni di paura o di rabbia, e ne regola il comportamento. L’affettività guida l’esperienza, incoraggia l’integrazione delle nuove conoscenze, fornisce un incentivo per nuovi livelli di funzionamento, garantisce un senso di sicurezza e di continuità del Sé nel tempo, provvede ad un costante orientamento verso tutto ciò che è familiare ed è alla base dei sentimenti di empatia verso gli altri. Il bambino usa in modo attivo i segnali emozionali delle sue figure di accudimento. La disponibilità emotiva materna rende possibile la continuazione dello sviluppo emozionale del bambino nell’ambito della relazione, in modo tale che egli possa affrontare le esperienze di separazione, riunirsi felicemente con la madre e avere abbastanza sicurezza per esplorare l’ambiente in sua presenza. Quando, invece, lo sviluppo comportamentale non procede in modo adeguato, è probabile che la disponibilità emotiva sia compromessa e che le interazioni fra il bambino e la persona che si prende cura di lui siano contraddistinte da una gamma ristretta di espressioni emotive, da segnali meno chiari e dal predominio del disimpegno, dell’angoscia o dell’evitamento nelle interazioni. Un deficit di disponibilità emotiva nelle prime relazioni di accudimento si associa ad una coartazione dell’esperienza e al rischio di sviluppare in seguito un disturbo narcisistico della personalità, a causa del mancato rifornimento del valore di sé che deriva dal non essersi sentito riconosciuto nei propri bisogni dalla figura che se n’è occupata, che quindi non ha alimentato l’autostima del piccolo. Tale riconoscimento viene costantemente ricercato nelle relazioni successive del bambino, che si impegna in tutti i modi per ottenere il valore di sé che è mancato nell’esperienza di cura. Nei casi, invece, in cui nelle prime relazioni sono prevalsi i sentimenti ostili, di rifiuto o di maltrattamento la risposta più probabile è l’evitamento delle emozioni e l’incapacità di utilizzarle come espressione di scambio con gli altri, col rischio di sviluppare successivamente conflitti nevrotici o altri disturbi della personalità. In questi casi le nuove relazioni tenderanno alla duplicazione delle emozioni dolorose sperimentate nella relazione di accudimento nel tentativo di raggiungere la padronanza ed il controllo sui sentimenti dolorosi vissuti. Per tutta la vita le rappresentazioni interne delle relazioni della prima infanzia eserciteranno la loro influenza sulle altre relazioni. Nei casi di disadattamento, le nuove relazioni saranno caratterizzate dalla rigidità e da una mancanza di apertura alle nuove possibilità e con la ripetizione di nuove relazioni disadattive.

Le difficoltà nei rapporti interpersonali derivano da scarsa autostima, che a sua volta deriva da una mancanza di maternage o di cure empatiche. L’organizzazione interna di atteggiamenti, aspettative, sensazioni e significati è un prodotto della storia relazionale, con continue implicazioni per l’organizzazione del comportamento socioemotivo. Le relazioni di attaccamento evitante nella prima infanzia riflettono una storia di accudimenti non sensibili e di rifiuto, specialmente in presenza di bisogni o desideri espressi chiaramente da parte del bambino. Quando le figure di accudimento sono cronicamente non disponibili sul piano emotivo, l’attaccamento evitante è virtualmente assicurato. Nel contempo, uno schema di attaccamento di questo tipo rivela che il bambino ha sviluppato un modello interiorizzato della madre come non disponibile e non responsiva nei confronti dei suoi bisogni emotivi. Perciò il bambino evita di cercare il contatto quando lo stress è in aumento e questo comporta lo sviluppo di una rappresentazione di Sé isolata ed incapace di stabilire una vicinanza emotiva, non interessata e non meritevole. Si possono ricercare le cure soltanto in momenti di basso stress (come quando i bambini evitanti siedono in grembo all’insegnante con il pollice in bocca mentre questa racconta una storia). Il mondo sociale è visto come estraneo, ed è affrontato con rabbia e con ostilità. Sovente i bambini si comportano in modi che elicitano ulteriori conferme delle loro rappresentazioni, manifestando un’affettività negativa e un’aggressività immotivata, che porta gli altri bambini a respingerli; disturbano l’andamento della classe, sono prepotenti con i più deboli e hanno comportamenti devianti o antisociali (mentono, rubano e imbrogliano) che li rende sgraditi anche agli insegnanti, confermando in questa forma dolorosa la loro rappresentazione interna preesistente.

In questo senso conta molto la sensibilità dell’insegnante, poiché ponendosi davanti al bambino come un modello diverso da quelli che lui ha conosciuto, senza rispondere come il piccolo cerca di indurre in lei, ma offrendogli un momento di ascolto e di comprensione per le sue vicende, facendogli capire che ha in mente le sue difficoltà, per quanto l’insegnante possa fare nell’ambito del tempo che ha a scuola, può trasformare l’esperienza del bambino introducendo un modello di relazione per lui nuovo ed imprevisto, in cui c’è accettazione dei suoi bisogni e considerazione autentica di ciò che lui è e della sua storia.

Su altri livelli le perturbazioni che maggiormente si osservano si presentano come disturbi del comportamento di nutrizione, del sonno (nel momento di andare a letto), nell’espressione affettiva, nello stile di esplorazione, nel controllo degli impulsi, nella definizione dei confini (differenziazione fra sé e gli altri), nella regolazione delle differenze sessuali e in altri sintomi. I disturbi del comportamento di nutrizione comprendono il mangiare troppo o troppo poco, il vomito, i problemi del tratto gastrointestinale e la mancata crescita. Una perturbazione del comportamento di nutrizione può trasformarsi in una perturbazione del controllo degli impulsi quando la fame e la sazietà diventano lotte sulle preferenze per i cibi e sugli stili nutritivi che possono presentarsi con scoppi d’ira, il rifiuto di cooperare ed espressioni aggressive rispetto allo stabilirsi dei limiti sui comportamenti possibili. I disturbi del sonno annoverano i problemi dell’andare a letto e del rimanere svegli, i rituali notturni, le difficoltà di addormentarsi, la paura del buio, il rifiuto di dormire da soli e i frequenti risvegli notturni. Sul versante della sicurezza-esplorazione la perturbazione è evidenziata da un aggrappamento eccessivo e da vibrate proteste al momento della separazione e della riunificazione con le figure di accudimento primarie, o viceversa dalla resistenza all’interazione e al coinvolgimento, espressa attraverso un evitamento attivo del contatto al momento della riunificazione con la madre. La curiosità e l’esplorazione sono inibite, specialmente in situazioni inconsuete e stressanti. Le sindromi relative ai confini sono caratterizzate da un’estrema labilità nell’umore e del comportamento e da manifestazioni caotiche e disorganizzate. Sia i genitori che i figli sono incapaci di differenziazione e le aspettative reciproche sono irrealistiche e inappropriate. Le perturbazioni sul versante dello scambio affettivo sono contraddistinte da irritabilità, apatia, ritiro, opposizione o esagerato negativismo. Nei bambini più piccoli, alcuni sintomi fisici, in special modo l’agitazione e il pianto prolungati e frequenti, possono indicare un problema di modulazione affettiva. In età più tarda possono prevalere la timidezza, il ritiro o il negativismo, e il problema relazionale può essere collegato a difficoltà nella segnalazione delle emozioni e nel riferimento reciproco. In ogni caso occorre valutare quale sia l’intensità affettiva, la modulazione e la sincronia dell’interazione con i caregivers. Il problema della regolazione delle differenze sessuali interviene in un epoca successiva quando i modelli di gioco, gli stili di abbigliamento e le preferenze per i compagni possono cominciare ad entrare in conflitto con i valori dei genitori e della famiglia.

Una particolare sindrome è stata individuata alla fine degli anni ’90 grazie alle osservazioni di P.E. Sifneos e di J.C. Nemiah, caratterizzata dall’incapacità di questi pazienti di identificare e descrivere i sentimenti e le emozioni, un’attività fantasmatica limitata e uno stile cognitivo pragmatico orientato prevalentemente verso l’esterno, dapprima considerata patognomonica nei disturbi psicosomatici, ma poi messa in evidenza in pazienti affetti da malattie croniche, nelle tossicodipendenze, nei disturbi alimentari, nei disturbi da attacchi di panico e nei disturbi da stress post traumatico.

L’alessitimia è un costrutto teorico che designa un insieme di deficit dell’attitudine di elaborare le emozioni da un punto di vista cognitivo, e nel distinguerle dalle sensazioni corporee, mettendo in luce l’incapacità che hanno queste persone di regolare gli affetti e, collegata a questa difficoltà, di regolare il pensiero e il comportamento in modo che viene compromessa la facoltà di valutare l’importanza, la portata e il significato degli eventi in termini di elaborazione cognitiva, pianificazione e adattamento.

 

G.J. Taylor, R.M. Bagby e J.D.A. Parker affermano che:

Gli affetti hanno un’influenza cognitiva su funzioni quali l’attenzione, l’apprendimento, l’immaginazione, la rappresentazione mentale, i meccanismi di difesa, i sogni e la comunicazione verbale Gli affetti ci permettono di valutare, validare e giudicare gli oggetti da cui dipendiamo e permettono a questi ultimi, una volta internalizzati, di acquistare un valore.”

Secondo questi autori se i sentimenti non possono essere elaborati allora il sentimento da significante di uno stato interno diviene automaticamente la paura del significato che esso dovrebbe segnalare. Di conseguenza i soggetti alessitimici sono costretti a mettere in opera dei mezzi per arginare la cascata di affetti che altrimenti li inonderebbe. L’alessitimia costituisce l’accompagnamento secondario di un trauma e una conseguenza dei fallimenti dell’attaccamento e delle relazioni primarie.

L’autoregolazione affettiva è stata messa in relazione con il costrutto dell’Intelligenza Emotiva (Goleman), rappresentato lungo un continuum il cui estremo inferiore corrisponde ai livelli preconcettuali di organizzazione e regolazione delle emozioni, in cui gli estremi più bassi corrispondono gli individui che hanno difficoltà nel valutare accuratamente le emozioni e nell’esprimerle, nel regolare efficacemente e nell’utilizzare i sentimenti come guida dei propri pensieri e azioni. (Sifneos nel 1973 conio il termine di alessitimia dal greco a = mancanza, lexis = parola, thymos = emozione). Nella sua attuale definizione il costrutto dell’alessitimia è composto dalle seguenti caratteristiche:

  • difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva;
  • difficoltà nel descrivere agli altri i propri sentimenti;
  • processi immaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie;
  • stile cognitivo legato allo stimolo e orientato all’esterno.

Altre caratteristiche addizionali non necessariamente patognomoniche del costrutto dell’alessitimia, sono la tendenza al conformismo sociale, il ricorso all’azione per esprimere le emozioni o per evitare i conflitti, una scarsa capacità di ricordare i propri sogni, una postura piuttosto rigida e una certa povertà nell’espressione facciale delle emozioni. Non essendo in grado di identificare accuratamente i propri sentimenti soggettivi il soggetto alessitimico ha scarsa capacità di comunicare verbalmente agli altri il proprio disagio emotivo, inoltre la scarsità dell’immaginazione limita l’attitudine a modulare l’ansia e le altre emozioni mediante la fantasia, i sogni o il gioco. Privi della conoscenza delle loro stesse esperienze emotive tali individui non riescono ad immedesimarsi in un’altra persona e mostrano una scarsa capacità di provare emozioni positive come gioia, felicità e amore (anedonia).

Come abbiamo già suggerito, lo sviluppo degli affetti e della capacità di regolazione di essi è facilitato nella primissima infanzia dall’esperienza di condivisione degli affetti e dal “rispecchiamento” delle espressioni affettive con il caregiver primario, e in seguito alle interazioni giocose nelle quali si verifica l’apprendimento della denominazione e dell’espressione dei sentimenti. Quando il caregiver primario non è emotivamente disponibile, o quando il bambino è ripetutamente soggetto a risposte incoerenti a causa della “mancanza di sintonizzazione” del genitore, allora il bambino ha forti probabilità di manifestare delle anomalie nello sviluppo e nella regolazione degli affetti e di sviluppare uno stile di attaccamento insicuro. Se i segnali affettivi del bambino sono costantemente rifiutati, e specialmente se le risposte affettive del caregiver sono fuorvianti, il bambino sviluppa un comportamento evitante e meno espressivo da un punto di vista emotivo per quello che riguarda gli affetti sia positivi che negativi e non riesce ad imparare il significato e le funzioni di segnale degli affetti, mentre quando la comunicazione affettiva del bambino riceve delle risposte incoerenti, egli sviluppa uno stile di attaccamento insicuro-ambivalente e ha difficoltà nel regolare lo stress emotivo. Essi riflettono un mancato processo di integrazione delle informazioni affettive con quelle cognitive. Mentre il bambino insicuro-evitante sviluppa dei problemi di riconoscimento ed espressione degli affetti e impara a basarsi esclusivamente sulla cognizione, il bambino insicuro-ambivalente è incapace di utilizzare la cognizione per regolare gli affetti. È stato poi osservato che alcune madri interferiscono con la creazione da parte del bambino dell’oggetto transizionale, impedendogli quella fase di sviluppo intermedia fra quella psichica e la realtà esterna che l’oggetto transizionale veicola, o offrendosi al bambino come unica fonte di soddisfazione. Queste intrusioni inibiscono nei bambini il nascere di attività immaginative, tra cui la capacità di creare fantasie e il gioco, e bloccano così lo sviluppo di importanti capacità di regolazione affettiva. Privati dell’esperienza della relazione transizionale questi bambini per ridurre la tensione si affidano ad attività autosensoriali come dondolarsi, succhiarsi il pollice in modo eccessivo, l’arricciarsi i capelli o il masturbarsi. Si tratta di modalità primitive di regolazione affettiva che riflettono un livello preconcettuale di organizzazione emotiva che, nell’adolescenza o in età adulta, possono trasformarsi in attività a dominanza sensoriale quali il fumare o bere troppo, oppure il masticare, l’abbuffarsi e il vomitare tipico dei pazienti bulimici, o sviluppando sintomi somatici. L’alessitimia è stata anche messa in relazione a traumi psichici avvenuti nell’infanzia o a traumi catastrofici avvenuti durante l’adolescenza o nell’età adulta, quando l’Io viene sopraffatto dall’evento traumatico, determinando una rapida regressione degli affetti ad un livello preconcettuale con dedifferenziazione e risomatizzazione.

L’osservazione clinica porta a ritenere che i soggetti alessitimici tendono a stabilire delle relazioni di marcata dipendenza, ma che queste relazioni hanno un’alta interscambiabilità, o, in alternativa, essi preferiscano restare da soli ed evitare del tutto gli altri, confermando l’idea che gli stili di attaccamento insicuro-ambivalente e insicuro-evitante permangono oltre l’infanzia.

Più in generale, i problemi dello sviluppo affettivo, che sono associati con la mancanza di un senso stabile e positivo di sé, possono essere collegati con un’assenza nell’infanzia di scambi affettivi continui e di natura positiva con un caregiver consapevole del fatto che le emozioni del bambino sono segnali, i quali comunicano i suoi bisogni e la richiesta di non trascurarli.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *