affetti

CONTRIBUTO AD UNA MIGLIOR COMPRENSIONE DEGLI AFFETTI IN PSICOANALISI

Nel compiere questo studio sono stato stimolato dall’interesse che per me rivestono i sentimenti all’interno della relazione che si stabilisce fra il paziente e l’analista, durante l’intero corso del trattamento psicoanalitico. L’importanza che hanno i sentimenti che si sviluppano fra l’analista ed il proprio paziente è riconosciuta in misura crescente dagli studi più recenti degli autori di psicoana – lisi, in particolare in relazione ai cambiamenti di intensità, tonalità e direzione che essi subiscono durante il processo psicoanalitico e sul valore da attribuire, di volta in volta, a queste variazioni. Ciò che tuttavia colpisce in quasi tutti questi studi è la mancanza di una comprensione univoca dei processi che sono implicati e che termini quali affetto, sentimento, emozione o sensazione vengano usati indifferentemente come se descrivessero un medesimo contenuto.

E’ significativo notare che l’Enciclopedia della Psicoanalisi di J. Laplanche e J.B. Pontalis prende in considerazione l’uso che il concetto di affetto ha per la psicoanalisi, trascurando di demarcarlo da concetti quali quelli di sentimenti e di emozioni, che vengono implicitamente considerati come sinonimi e compresi quali aspetti correlati degli affetti. Di ciò non se ne può fare una colpa all’opera, ma in generale alla poca chiarezza sintattica che è stata propria di una materia in rapida crescita e che molto spesso, anche per concetti importanti, ha trascurato la chiarezza semantica a   favore della comprensione metapsicologica dei processi implicati.

Questo disagio è riscontrabile anche nei manuali di Psichiatria e prendendo a testo quello di H. Ey. P. Bernard e Ch. Brisset vediamo che gli autori si esprimono utilizzando la nozione di affettività di base per intendere tutti i fenomeni dell’affettività che entrano a far parte dell’esperienza sensibile, come i sentimenti e le emozioni.

“Gli affetti di base costituiscono la tastiera sensibile dell’esperienza, poiché si può dire che ogni momento o modalità di essa ha una tonalità affettiva (timica) più o meno vivace, vissuta sul registro del piacere o del dolore, dell’euforia o dell’angoscia.” (H. Ey, P. Bernard e Ch. Brisset – 1978).

Recentemente sulla Rivista di Psicoanalisi è stato da alcuni autori discusso il ruolo degli affetti nella pratica psicoanalitica ed in uno di questi interventi S. Muscetta sostiene che non vi possono esserci significativi cambiamenti nel paziente che non siano accompagnati da una elaborazione degli affetti di transfert e che l’esperienza terapeutica è in primo luogo un’esperienza affettiva che implica il coinvolgimento di entrambi i soggetti della relazione. M. Ammaniti nella discussione del panel sugli affetti, pubblicato sulla stessa rivista, ha significativamente aggiunto che:

“ … gli affetti non sono semplicemente il segnale di una interazione attuale e contingente ma sono parte integrante della rappresentazione del Sé e delle figure significative.” (M. Ammaniti – 1989).

Per capire come attualmente si attribuisca grande importanza alla relazione e agli scambi affettivi che intervengono durante la terapia analitica, bisogna fare alcuni passi indietro per comprendere come nel corso dello sviluppo psicoanalitico si sia evoluto il concetto di affetto.

Arbitrariamente si suddivide il pensiero psicoanalitico in 4 o 5 fasi e, per dirla in poche parole, ad ogni fase corrisponde una certa corrente di pensiero ed una rivisitazione e risistemazione delle precedenti teorie. Nella prima fase, quella del cosiddetto ‘trauma affettivo’ Breurer e Freud riconoscono l’origine dell’isteria in un affetto che è stato bloccato in conseguenza di un evento traumatico, per cui non si è prodotta un’adeguata scarica dell’affetto, il quale permane all’interno della persona come affetto bloccato. Come conseguenza viene sostenuto il valore terapeutico dell’abreazione. In questa prima fase la carica di affetto viene assimilata alla carica pulsionale.

La seconda fase è contrassegnata da vari lavori di Freud ed è definita dal ‘modello topografico’ dell’apparato psichico. In questa fase Freud sostiene che una pulsione non può mai diventare oggetto di coscienza e che può diventarlo solo l’idea che la rappresenta.

“Se la pulsione non si esprimesse come idea, ne si manifestasse come stato affettivo, noi non la conosceremmo affatto.” (S. Freud – 1915).

Per Freud affinché un’emozione possa considerarsi tale deve essere percepita e questo fatto sembrerebbe portare alla conclusione che l’attributo di incoscienza non riguardi emozioni, sentimenti e affetti. Tuttavia nella pratica clinica siamo abituati a riconoscere – Freud si riferisce ai sentimenti inconsci di colpa – l’esistenza di stati affettivi inconsci. La contraddizione per Freud è solo apparente. L’impulso affettivo o emozionale ha perduto il suo legame originario con l’idea che lo rappresentava e si è associato ad un’altra idea che ora lo rappresenta.

“Se ristabiliamo il vero legame, chiamiamo ‘inconscio’ l’originario impulso affettivo. Tuttavia il suo affetto non è mai stato inconscio: è accaduto solo che la sua idea e stata rimossa.” (S. Freud -1915)

Per il Freud di quest’epoca ‘l’importo di affetto’, che si lega ad un’idea che è stata rimossa, cor – risponde alla pulsione e trova espressione in quei processi sentiti come affettivi. Di rilievo è la convinzione di Freud che importo di affetto e pulsione coincidano nella loro qualità.

Rispetto alla prima fase la differenza è notevole. Non è più l’affetto a subire la rimozione ma l’idea che lo rappresenta. Mentre l’idea viene mantenuta fuori dalla coscienza l’affetto scomparso si trasforma in angoscia.

Con “Inibizione, sintomo e angoscia” viene meglio precisata la terza fase dello sviluppo della psicoanalisi, quella che è definita dal ‘modello strutturale’ dell’apparato psichico. In quest’opera Freud sostiene che solo l’Io può percepire uno stato affettivo e rivedendo il meccanismo dell’angoscia lo descrive come un segnale di cui l’Io dispone al fine di mettere in moto tutte le reazioni e le possibilità difensive di cui la persona è capace, per consentirle di affrontare una situazione di pericolo. Tale segnale rappresenta il precipitato di antiche situazioni traumatiche, le quali permangono nella vita psichica dell’individuo quali tracce mestiche che vengono riattivate in situazioni simili. Nell’aggiunta C di questa opera, descrivendo le reazioni al dolore, Freud afferma che:

“Il dolore è dunque la reazione propria alla perdita dell’oggetto, l’angoscia la reazione al pericolo che tale perdita porta con sé e, in uno spostamento ulteriore, una reazione al pericolo della perdita stessa dell’oggetto.” (S. Freud – 1925).

Nei successivi anni dello sviluppo delle teorie psicoanalitiche, la cosiddetta quarta fase, si è posta sempre di più all’attenzione degli studiosi il problema della relazione che si instaura all’interno del setting definito analitico e dell’importanza da attribuire agli scambi affettivi. Ne era stata fatta di strada dal tempo in cui Breurer prima e Freud poi avevano dovuto fare i conti, nel caso della “signora Anna O.”, con un investimento affettivo del quale non comprendevano i contorni e la cui conoscenza aveva permesso, in seguito, a Freud di elaborare gli affetti di transfert.

E’ da attribuire a P. Heimann l’importanza che per la psicoanalisi vennero ad assumere gli affetti di controtransfert. Si cominciò così a considerare i sentimenti che l’analista provava verso il paziente come frutto della relazione in atto e non più come un ‘intoppo’ fastidioso che ostacolava il cammino della terapia. Già nel 1953 Rapaport poteva sostenere che:

“… la ‘rievocazione’ e ‘l’insight’ senza esperienza affettiva in genere non producono un progresso terapeutico.” (D. Rapaport – 1953).

Rapaport avvertiva che senza una sistematica comprensione di quei fenomeni che definiamo affettivi si rischia di operare delle generalizzazioni tanto nel lavoro diagnostico che in quello terapeutico. Già Freud aveva accennato alla possibilità che esistano delle tolleranze, o soglie congenite di scarica in funzione delle quali all’affetto è consentita la scarica e che tali tolleranze si ricollegano sempre a situazioni affettive di base, come il pericolo di perdita dell’oggetto.

Per la Brierley eccitazioni che superano una particolare soglia (apporto di affetto) individuale diventano intollerabili e richiedono una scarica immediata (all’interno o all’esterno). Fenichel mette in relazione la capacità di dominare gli affetti con la forza dell’Io. La Jacobson definisce gli affetti come il “barometro del funzionamento dell’Io”, conseguenti a tensioni nell’Es o nell’Io, o insorgenti da tensioni fra l’Es e l’Io o fra l’Io e il Super-Io.

Tuttavia il contributo più importante viene da A. Freud secondo la quale gli affetti si legano agli impulsi istintuali, mentre tra le attività dell’Io assume rilievo la difesa contro gli affetti associati alle pulsioni, al fine di sottomettere gli affetti al destino degli impulsi istintuali. A. Freud chiarisce che il destino di un affetto non è lo stesso del suo rappresentante ideativo. L’Io interviene dando all’affetto un nuovo rilievo e operando nel senso di modificarne il contenuto affinché non appaia l’impulso sottostante.

“Quanto più completamente riusciremo a portare alla coscienza le resistenze e le difese contro gli affetti, rendendole così inoffensive, tanto più rapido sarà il progresso nella comprensione dell’Es.” (A. Freud – 1936).

Gli autori che maggiormente hanno posto l’attenzione sugli affetti quali misuratori o segnalatori dello stato interno sono stati Joseph e Anne-Marie Sandler, per i quali la   “parte giocata dall’espe –

rienza affettiva” nello sviluppo delle relazioni oggettuali è determinante. Un’esperienza che non faccia riferimento alle emozioni coinvolte non ha nessun significato per l’individuo. Quindi i due autori tracciano una linea evolutiva per quanto riguarda lo sviluppo degli stati affettivi, dalla considerazione che i due stati affettivi di base sono le esperienze piacevoli, gratificanti e confortevoli, contrapposte alle esperienze dolorose e spiacevoli. Dalle risposte soggettive a questi stati emotivi vi vanno a strutturare delle rappresentazioni sempre più legate alle persone oggetto delle esperienze di piacere e dispiacere.

“Sosteniamo l’idea che il principio fondamentale di guida e di regolazione nell’adattamento dal punto di vista psicologico si basi sui sentimenti.” (J. Sandler – 1968).

I sentimenti, per quanto tenui, accompagnano qualsiasi contenuto d’idea e tutti i comportamenti adattivi sono regolati dal bisogno di raggiungere o mantenere un livello minimo di sentimento di sicurezza all’interno dell’apparato psichico e di evitare o diminuire l’angoscia o i sentimenti di disorganizzazione della persona, che producono un effetto negativo sui sentimenti di sicurezza e di benessere. Sandler si riferisce quindi ad “un’economia dei sentimenti”, intendendo che parlare di “angoscia segnale” non sia più sufficiente se non si includono anche gli “affetti segnale” quali anticipatori della gratificazione sensuale, della sicurezza, del dolore e di altre situazioni che possono produrre piacere o dispiacere. Il principio economico fondamentale è il permanere all’interno dell’individuo di un certo livello di benessere e di sicurezza, per mantenere i quali può essere sacrificata anche la ricerca del piacere.

“Il criterio ultimo in base al quale l’apparato decide di far procedere o meno un certo contenuto psichico è un criterio esperenziale affettivo (prevalentemente nella forma di affetti segnale che si perfezionano man mano che lo sviluppo procede).” (J. Sandler – 1969).

Con l’impulso che negli ultimi anni si è voluto dare alle relazioni oggettuali, specialmente nel contesto di quelle particolari forme di relazioni oggettuali che investono l’analista e il proprio paziente, si è dato sempre maggior significato ai sentimenti che vengono trasmessi all’interno della relazione analitica, al fine di comprendere e riconoscere, tramite i sentimenti che l’analista prova, quello che il paziente sta vivendo in un momento dato della terapia. Non solo, ma come dice Rosenfeld:

“Ho anche sostenuto che l’analista debba seguire con attenzione quanto il paziente gli va comuni – cando, in modo da formulare le sue interpretazioni nel momento più opportuno; così le sue parole avranno un senso emotivo per il paziente.” (H. Rosenfeld – 1987).

Ciò a cui non è stata prestata la necessaria attenzione è, a mio parere, la distinzione non solo se –  mantica ma di contenuto, tra affetti, sentimenti ed emozioni.

Molti autori, tra i quali voglio citare Winnicott, utilizzano questi concetti dando ad essi un signifi – cato diverso a seconda del contesto e della necessità di esprimere aspetti della relazione fra l’analista e il paziente, senza tuttavia operare una chiara distinzione fra di essi, pur riconoscendone implicitamente il differente valore. Qualche autore opera una distinzione tra affetti primari di tipo biologico (pianto, sorriso, ecc.) ed affetti che si sviluppano secondariamente come aspetti della socializzazione (invidia, vergogna, depressione, ecc.).  Proprio questa distinzione si porta alla natura degli affetti. Muscetta nell’articolo citato sostiene che:

“I segnali affettivi contengono due parti di informazione entrambi indispensabili perché avvenga una comunicazione efficace: la componente categoriale, che dice quale affetto è presente, e la componente dimensionale che indica l’intensità, il ritmo, la forma, il tono edonico, la direzione (verso l’interno o verso l’esterno) ed altri aspetti di quel determinato affetto.”

E poi:

“Gradatamente il bambino comincia a fare uso dei segnali emozionali degli altri, della madre in particolare, per regolare il proprio comportamento.” (S. Muscetta – 1989).

Anche la Jacobson sostiene che la vita psichica ha origine da processi fisiologici autonomi e indipendenti da ogni stimolazione sensoriale esterna e che in un momento successivo tali stimoli esterni acquistano un’importanza sempre maggiore ed orientano i processi di scarica biologica – mente predeterminati, che non possono ancora essere considerati sentimenti. Tuttavia tali processi rappresentano i:

“… precursori genetici dei processi emozionali e di pensiero e delle complesse attività funzionali il cui sviluppo ha luogo con l’inizio della formazione dell’Io.” (E. Jacobson – 1954).

Petter, utilizzando un termine che è stato introdotto da Kurt Lewin, osserva che si stabiliscono più facilmente relazioni affettive verso le persone che contribuiscono ad ampliare lo “spazio psicologi –

co di libero movimento” della persona.

“La prima figura è la madre la quale contribuisce anche a sviluppare un sentimento di sicurezza e a costituire un prolungamento della persona del bambino.” (G. Petter – 1972).

In questo modo si viene a porre la relazione che esiste tra lo sviluppo degli affetti e i processi di identificazione. In termini spiccioli, l’identificazione consiste nell’introdurre nella rappresentazione del Sé una parte più o meno estesa della rappresentazione dell’oggetto. Affinché questo processo abbia luogo deve necessariamente esistere una relazione d’oggetto, con un oggetto la cui figura rappresenta un polo d’attrazione per la rappresentazione del Sé. L’archetipo che può soddisfare questa primitiva esigenza è la madre buona che è pronta gratificare i bisogni primari del bambino, in particolare a rassicurarlo e a fornirgli un senso di calore e di fiducia.

Si viene così a definire quella che, a mio avviso, è la caratteristica principale del sentimento dell’affetto, il quale esprime un legame o meglio una relazione d’oggetto, di qualsiasi natura essa sia, passata o presente, che è stata avviata dal processo di identificazione, per mezzo del quale anche i sentimenti che si legano alla rappresentazione d’oggetto vengono trasferiti all’interno della rappresentazione di Sé del soggetto, secondo quindi quello specifico rappresentante ideativo.

Il rappresentante somatopsichico del sentimento dell’affetto è l’emozione, che costituisce lo stimolo somatico che induce un processo di scarica lungo delle vie afferenti, provocate da una modifica – zione fisiologica dello stato interno dell’organismo.

I sentimenti definiscono, invece, la categoria degli affetti e delle emozioni di una persona, la loro tonalità, intensità e direzione.

Schematizzando:

Emozione                              Si esprime in particolari manifestazioni somatopsichiche.

Affetto                                   Quando l’emozione si lega ad un rappresentante ideativo.

Sentimento                             Definisce la qualità, la direzione, l’intensità e la tonalità dell’affetto.

Data questa affermazione vorrei chiarirne il senso e a questo proposito trovo utile farlo partendo dal materiale clinico. A questo scopo trovo adatto descrivere il sogno di un mio paziente.

“Devo andare a fare visita ad un mago che vive in un antico palazzo. Attraverso corridoi stretti e bui fino ad arrivare in un ampio salone, molto ben illuminato e con un pavimento in parchetto tirato a lucido. Altre persone sono in attesa. Accatastati nello stanzone ci sono un’innumerevole quantità di giocattoli, che sono la collezione privata del mago. Nelle altre stanze che si affacciano sul salone può vedere che sono anch’esse ben illuminate e ricolme di giocattoli. L’attesa del mago diviene vana ed egli non si fa vedere. Tutte le persone in attesa rimangono deluse, anche se in loro permane il piacere di essersi conosciute. Con questa doppia sensazione lasciano l’abitazione del mago e riattraversano gli androni bui del palazzo.”

Durante la descrizione del sogno avverto uno stato d’animo di disinteresse e di poca attenzione al racconto del paziente. Le associazioni al sogno lo portano a mettere in relazione la collezione di giocattoli del mago con la propria attività professionale di rivenditore di giocattoli. Quindi accosta la figura del mago alla mia, di un ‘mago’ poco attento ai suoi bisogni, ma che per lui costituisce un polo d’attrazione suggestivo. Il ‘mago’ ha il potere di provocare in lui delle trasformazioni. Il paziente passa poi a descrivermi delle situazioni di relazione nelle quali si trova a che fare con delle persone dotate di forte personalità e con le quali gli succede di modificare la propria opinione per assumere la loro. Forse per questo motivo molte volte si irrigidisce e si mette al riparo staccando e provocando una specie di isolamento.

Collego tutto quanto il paziente mi dice al sentimento di distrazione che provavo durante il racconto del sogno. In effetti nel sogno il mio cliente non aveva stabilito nessun punto di contatto con il ‘mago’, la cui presenza è percepita tramite l’imponenza suggestiva del palazzo e delle altre persone in attesa. Non c’è (il paziente non lo provoca, dato che è lui a produrre il sogno) nessun contatto diretto, pelle contro pelle. L’emozione controtransferale di scarsa attenzione durante la narrazione del sogno si può collegare al bisogno difensivo del paziente di creare un distacco, un isolamento affettivo tra me e lui, al fine di tenere sotto controllo i propri desideri intrusivi che potrebbero manifestarsi se con me stabilisse una relazione di bisogno. Lui vorrebbe riempire tutte le stanze con la propria presenza (i giocattoli), avere il ‘mago’ tutto per sé, ma deve fare i conti con la rabbiosa presenza degli altri (le altre persone in attesa) che ne bloccano il desiderio. Nel sogno il sentimento di solidarietà con le altre persone presenti rappresenta la trasformazione nel contrario, operata dalla difesa sui sentimenti del paziente, al fine di salvaguardarlo dall’espressione di qualunque sentimen – to di rabbia. Si può dire che il sogno realizza una funzione difensiva, mantenendo il paziente in una condizione di frustrazione del bisogno, in quanto la soddisfazione di esso implicherebbe per lui una minaccia ancor più grave, rappresentata dai propri desideri intrusivi da un lato e dal timore, dall’al -tro, che esprimere una condizione di bisogno lo faccia sentire esposto ad una relazione di dipen – denza totale e manipolatoria.

Sono parecchie le cose che avrei potuto sottolineare al paziente sulla base delle considerazioni appena fatte. Ciò che tuttavia sento prioritario interpretare è il pericolo di dipendenza sottomessa che il paziente avverte ogniqualvolta si mette in relazione con gli altri sulla base di una propria condizione di bisogno. Qualsiasi altro intervento sarebbe stato inopportuno in quanto, anche se metodologicamente corretto, si sarebbe posto al di fuori del contesto emotivo della seduta.

Da questa breve traccia si può ipotizzare il tipo di relazione oggettuale che il paziente mantiene con le persone fonte della gratificazione dei bisogni. Si tratta di figure che sente incapaci di rifornirlo, il ‘cibo’ che ottiene è avariato, manca una fiduciosa attesa di cose ‘buone’. L’immagine che può sintetizzare questa idea è quella del bambino a cui viene dato il latte senza che venga preso in braccio o senza che gli vengano fornite tutte quelle stimolazioni sensoriali dalle quali possa sentire di essere accudito con calore. L’effetto che si viene a determinare nella persona è l’instaurarsi di una bassa stima di sé e di una scarsa fiducia di poter trovare un clima di accettazione e di condi – visione dei propri bisogni.

La relazione oggettuale, di tipo transferale, che il paziente riesce a realizzare con me è dello stesso tipo. Io sono rappresentato come un ‘mago’ senza volto di cui subisce la suggestione, un ‘mago’ dal quale vorrebbe tante cose, ma che per effetto dell’imponenza che lo circonda non può avvicinarsi a lui, prendersi cura dei suoi ‘fastidiosi’ bisogni, un ‘mago’ di cui percepisce la presenza, che potreb – be riempirlo di tante cose e che invece lo lascia deluso e senza niente.

Se eliminiamo l’effetto delle difese troviamo una persona che è piena di bisogni e di pretese, che teme che i propri desideri gli ‘scoppino’ fra le mani assumendo un carattere traboccante. Il dare accesso a questa parte di sé lo espone ai rischi di una profonda umiliazione, a quel sentirsi in balia e alla mercè della figura da cui dipende la gratificazione dei propri desideri, per cui la risposta adattiva che il paziente ha imparato a riconoscere e ad utilizzare nel corso degli anni è la continua negazione di uno stato di bisogno e di conseguenza della possibilità di strutturare qualsiasi rapporto di dipendenza fiduciosa.

In questo paziente i sentimenti che definiscono gli affetti (relazione d’oggetto) con una figura che si prende cura della propria persona sono orientati, ad un primo livello, verso un senso svalutativo di sé e della fiducia di poter ottenere delle cose buone. Ad un livello più profondo possiamo indivi – duare un sentimento di ostilità e di difesa da qualsiasi relazione di dipendenza che lo farebbe sentire esposto e alla mercè di un oggetto dal quale dipendere. Un terzo livello comprende i sentimenti connessi ad un forte desiderio di accudimento, che nel paziente ha un carattere pieno, invasivo e che si accompagna a fantasie intrusive di un rapporto esclusivo e totale. Più in la, e collegato a quest’ultimo, troviamo un sentimento di rabbia impotente per il destino dei propri desideri frustrati. Altri livelli si aggiungono a quelli descritti, quasi in modo topografico, che possono essere individuati in connessione agli investimenti della rappresentazione d’oggetto di volta in volta predominante. Quello che voglio dire è che la rappresentazione investita non è mai la stessa e che si modifica sulla base della relazione d’oggetto (e degli uniti sentimenti) con la quale il paziente, in tempi diversi, rappresenta la relazione fra sé stesso e il proprio analista.

Si potrebbe anche dire che la terapia evolve in senso positivo quando è accompagnata da una modificazione dei contenuti d’affetto (sentimenti), che è indotta da una contemporanea modifica –zione della relazione d’oggetto intrapsichica fino a quel punto mantenuta con l’analista. In questo senso diviene importante per il terapeuta cercare di capire quale sia la relazione d’oggetto con la quale il paziente lo investe ad un momento dato, poiché questa comprensione definisce quali siano i sentimenti presenti nella relazione fra lui e il paziente in quell’istante preciso e consente di orientare l’ascolto e la risposta del terapeuta sul versante che, in quel contesto, possiede la maggior rilevanza emotiva per il paziente e che rende, quindi, il suo intervento più efficace.

SOMMARIO

La mia relazione vuole porre in risalto il problema di cosa si debba intendere quando si parla di affetti, soprattutto in quella particolare forma di relazione affettiva che è rappresentata dalla relazione terapeutica.

Le mie considerazioni partono dall’idea che non è stato fatto sin’ora un chiaro distinguo fra affetti, sentimenti ed emozioni e, quindi, di quello che si debba intendere quando si parli di essi.

Ho messo in relazione la nascita degli affetti al processo di identificazione, processo attraverso il quale il bambino emerge da uno stato di non differenziazione primaria e stabilisce i primi rapporti con le persone che lo circondano, in particolare, specie all’inizio, con la figura materna. Tale pro – cesso secondario, come sosteneva Freud, è volto a recuperare la condizione primaria di benessere.

Sostengo che le relazioni oggettuali si caratterizzano dalla loro dimensione affettiva e che è quest’ultima componente che si sposta all’interno delle relazioni oggettuali transferali, come è possibile osservare nella pratica clinica, dove gli affetti di transfert traducono il tipo di relazione oggettuale presente all’interno della relazione con l’analista, in quel contesto e in quel momento.

Ho aggiunto che è possibile comprendere l’evoluzione della terapia attraverso le modificazioni che subiscono gli affetti nel transfert, in quanto espressione dei cambiamenti che riguardano le rappre – sentazioni delle relazioni oggettuali coinvolte.

Ho quindi definito il sentimento d’affetto come la risultante della relazione d’oggetto investita, dove i sentimenti rappresentano il verso, l’intensità e la tonalità dell’affetto, mentre le emozioni riguar – dano la risposta biologica o somatopsichico del sentimento d’affetto presente.

Il caso che ho descritto serve a confermare l’importanza che, nel contesto di una terapia, ha individuare la relazione d’oggetto presente nell’hic et nunc, attraverso i sentimenti d’affetto che il paziente ci trasmette e che il terapeuta avverte controtransferalmente. Tali sentimenti non sono sempre gli stessi in quanto non è sempre la stessa la relazione d’oggetto della quali veniamo investiti, non solo nel corso della terapia ma, molto spesso, anche nel corso di una medesima seduta.

Attraverso l’estensione delle proprie rappresentazioni il paziente cerca di indurre l’analista ad una risposta che lo confermi nelle proprie rappresentazioni intrapsichiche. La distonicità fra quanto il paziente vuole (la conferma rappresenta un indice di sicurezza) e la risposta che il terapeuta gli rinvia è possibile solo mediante l’analisi che l’analista fa dei suoi stessi sentimenti.

Ciò che è importante sottolineare è che la risposta del terapeuta si collochi sempre sul versante dei sentimenti presenti nel qui ed ora, qualsiasi altra risposta costituisce una deviazione dal percorso della terapia.

BIBLIOGRAFIA

  • Enciclopedia della Psicoanalisi                  J. Laplanche e J.B. Pontalis, 1967     Ed. G. Laterza, 1968
  • Manuale di Psichiatria                                H. Ey, P. Bernard e Ch. Brisset   Ed. Masson, Paris, 1978
  • Teoria degli affetti e tecnica psicoanalitica                        S. Muscetta,   Rivista di Psicoanalisi, 1989
  • Discussione del Panel sugli affetti                                  M. Ammaniti,   Rivista di Psicoanalisi, 1989
  • Studi sull’isteria                                                                    S. Freud, 1895   Ed. P. Boringhieri, 1974
  • Pulsioni e loro vicissitudini                                     S. Freud, 1915a   Newton Compton Editori, 1976
  • La rimozione                                                           S. Freud, 1915b   Newton Compton Editori, 1976
  • L’inconscio                                                             S. Freud, 1915c    Newton Compton Editori. 1976
  • Inibizione, sintomo e angoscia                                                S. Freud, 1926   E. P. Boringhieri, 1974
  • On counter transference                                                           P. Heimann    Int. J. Psychoanal., 1950

In: Il modello concettuale della psicoanalisi. Scritti 1940 1960

  • La teoria psicoanalitica degli affetti                                       D. Rapaport, 1953   Ed. Feltrinelli. 1977
  • Il Sé e il mondo oggettuale                                                   E. Jacobson, 1954    Ed. Martinelli, 1974
  • L’Io e i meccanismi di difesa                                                      A. Freud, 1936   Ed. Martinelli, 1967
  • Lo sviluppo delle relazioni oggettuali
  • e degli affetti                                                       J. Sandler e A.M. Sandler, 1978   Int. J. Psychoanal.

La ricerca in psicoanalisi

  • vol. I  cap. 2, 9, 10     vol. II  cap. 8, 9, 10                              J. Sandler, 1968   Ed. Boringhieri, 1981
  • Comunicazione e interpretazione                                       H. Rosenfeld, 1987    Ed. Boringhieri, 1989
  • L’odio nel controtransfert                                                       D.W. Winnicott, 1947    Ed. Martinelli, 1975

In: Dalla pediatria alla psicoanalisi

  • Dall’infanzia alla preadolescenza                                       G. Petter    Ed. Giunti-Barbera, 1972

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *