IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA

Considerazioni introduttive. Ciò che mi ha stimolato a compiere questo studio è stato il bisogno di comprendere meglio un concetto, qual è quello dell’identificazione proiettiva, che di frequente si sente utilizzare nella descrizione clinica, senza tuttavia una precisa definizione e una chiara delimitazione nell’ambito della teoria psicoanalitica. Il concetto di identificazione proiettiva si viene spesso ad intrecciare con quelli di controtraslazione e di induzione di ruolo e non sempre è stata fatta una sufficiente distinzione tra di essi, in modo da accrescere la confusione riguardo all’uso di quelli stessi costrutti teorici.

Che il concetto sia nato sulla sponda degli studi ad orientamento kleiniano ha impedito ad una grossa parte di analisti di farne uso e a bollarlo in maniera preconcetta come un’idea complessa e di scarsa utilità, che poteva essere compresa solo all’interno de-gli schemi di riferimento evolutivi teorizzati da M. Klein. A questo atteggiamento hanno pure contribuito gli stessi appartenenti a questa scuola di pensiero che ne hanno fatto un meccanismo oscuro e di non facile comprensione.

Concordo con J. Sandler quando sostiene che assumere nella propria visione teorica questo concetto non significa inevi-tabilmente abbracciare in blocco le teorie esplicative della Klein, ma che piuttosto indica la scelta di come e quando poter accogliere i contributi di questa scuola di pensiero, così come quelli delle altre. Non esiste teoria che possa spiegare ogni cosa e che possa durare in maniera indefinita, a meno che di farne una questione fideista i cui assiomi sono fondati su dei dogmi impenetrabili. Condivido la posizione di chi ritiene una teoria come un’ipotesi che va continuamente verificata e che viene sostituita da un’altra che si rivela più efficace e che ci permette di comprendere meglio quei fenomeni che la teoria precedente non era stata in grado di dimostrare.

Quello che ho fatto è stato di chiarire in quale contesto mi faceva comodo ricorrere a questo meccanismo, maturando delle convinzioni sempre più definite riguardo al posto da assegnare all’identificazione proiettiva nell’ambito della teoria psicoanalitica. Così mi sono accorto che era utile riprendere il concetto stesso di scissione, che è indissolubilmente legato all’identificazione proiettiva, e che sarebbe stato più vantaggioso considerarla come una specie di membrana che tende a tenere separati stati non differenziati delle rappresentazioni psichiche, che è presente e funziona in ogni individuo per distinguere una parte dell’Io che è cresciuta soddisfando le richieste evolutive, da un’altra che ha mantenuto inalterati i suoi tratti originari. Il concetto di identificazione proiettiva viene inteso nel senso di un meccanismo intrapsichico molto definito, che tende ad agire all’interno di quell’area che ho chiamato di disidentificazione e la cui funzione è quella di preservare l’individuo dall’insorgere di stati affettivi spiacevoli connessi all’espressione di relazioni d’oggetto molto primitive.

A margine della relazione viene esaminato il rapporto dell’identificazione proiettiva con la controtraslazione e l’induzione di ruolo e il posto da assegnare a questo processo nell’ambito dei meccanismi di difesa più generali.

Nella formulazione delle mie ipotesi ho spesso fatto uso di rappresentazioni grafiche che devono essere intese come espedienti tecnici utili per consentire anche un’immagine visiva del processo che viene esaminato. E’ da me lontana l’idea che ciò che viene implicato si svolga secondo l’impianto grafico predisposto.

Voglio anche sottolineare che ciò che descrivo rappresenta il mio personale punto di vi-sta sulla materia e non ha la pretesa di voler essere una formulazione esaustiva e tanto meno vuole soppiantare quelle ipotesi sull’argomento che hanno dimostrato di avere un certo respiro critico.

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